Ve lo immaginate il calore che può contenere un palazzetto il 31 Luglio? La canicola che si crea in un catino con un fondo in piastrelle, i gradoni in cemento e un tetto in lamiera? Correva l’anno 1982 e l’hockey viveva a dir poco annate infinite. Da un paio di stagioni era avvenuto un cambio radicale, quello che aveva spostato definitivamente i calendari dell’hockey. Le stagioni erano passate da aprile/ottobre alla classica stagione sportiva, con partenza a settembre e termine prefissato ad inizio estate. Nel calcio funzionava così da tempo immemore, esempio a cui si era attenuta, ad esempio, anche la pallacanestro.
L’hockey ad inizio anni ’80, passò dall’essere uno sport estivo, giocato all’aperto in arene che rievocano dolci ricordi – Viale Buonarruoti a Novara, Miramare di Trieste, la Pista dei Pini a Follonica, Via Boccaccio a Monza, giusto per citarne alcune – per rinchiudersi in palazzetti, che non nel mese di luglio avrebbero ospitato temperature equatoriali.
Il 1982 dell’hockey pista pareva non voler finire più, complice il campionato mondiale di Barçelos, calendarizzato nel mese di maggio, con le coppe europee ancora in pieno svolgimento. Accantonata la sbornia per la vittoria della Nazionale di Bearzot, i tifosi di Monza e Lodi si trovarono loro malgrado a dover ritardare la partenza per le località marittime a causa di due eventi imperdibili.
I brianzoli si trovavano a disputare la finale di Coppa CERS, nata la stagione precedente (sempre in perfetta emulazione del dio calcio) e giocata da protagonista fino all’atto conclusivo, in cui il Liceo La Coruna pareva decisamente di un altro pianeta. I galiziani – lanciati come antagonisti principali al movimento catalano – erano in totale ascesa. Carlos Gil fu affiancato da due “compaesani” di livello assoluto, che faranno parte delle loro fortune proprio in Italia: Daniel Martinazzo e Mario Aguero, mentre il resto della squadra era formato da giocatori di livello, da Llonch a Zabalia, da Areces a Garvey.
Gli equilibri si spostarono già nella gara d’andata e per il Monza di Villani rimontare il 13-4 del Riazor risultò impresa decisamente improba.
Amatori Lodi, una finale nel mirino
La situazione del Lodi era alquanto differente. I giallorossi tentavano l’assalto alla Coppa dei Campioni dopo i fallimenti di Hockey Monza, Triestina, Novara e Giovinazzo. Ma l’avversario era consolidato, al limite dell’imbattibile. Il Barcellona giungeva alla finale 1982 da detentore degli ultimi 4 trofei con una squadra fenomenale. In porta Carlos Trullols assumeva i connotati di leggenda vivente: alla sfida con il Lodi si presentava con 4 campionati del Mondo vinti da protagonista, tre Europei (il quarto, ed ultimo, lo vincerà a Vercelli l’anno successivo). Soprattutto dal 1977, ovvero da quando occupava il ruolo di “arquero titular blaugrana”, aveva sempre vinto la Copa Europa. Davanti a lui un quartetto fenomenale, formato da Vila-Puig, Pauls, Centell e Ricardo Torres, con l’esperto Vilacorta fermo ai box per un i postumi di un infortunio. Ovvero quanto di meglio l’hockey mondiale avrebbe potuto disporre, con Torner e Venteo prelevati dalla canterae lanciati già ai massimi livelli.

A Lodi sapevano perfettamente che il Barcellona era un’autentica corazzata e anche il tecnico Marino Hombre Severgnini non lasciava spazio a dichiarazioni illusorie “Le possibilità stanno a zero. Loro hanno dei giocatori fortissimi e rimontare 3 reti sarà un’impresa improba”. Però c’era sempre un “fattore Revellino” da affrontare e 50 minuti roventi di cui tener conto. Josep Llorente, magistrale gestore di un gruppo di campioni, mostrava grande concentrazione. E ne aveva ben donde.
Il Revellino, un’autentica bolgia infernale
Vuoi mettere il caldo terrificante, il rollio dei tamburi, le tribune stracolme già nel tardo pomeriggio. Stipati, dentro il “Revellino”, c’erano almeno 1.800 spettatori. Forse duemila, se vogliamo sfidare la legge dell’impenetrabilità dei corpi. Al diavolo le misure di sicurezza odierne, allora le cose funzionavano diversamente e a Lodi tutti, ma proprio tutti, avrebbero voluto presenziare all’evento.

Alla luce di simili condizioni – che il buon Llorente immaginava – le sicurezze del 4-1 della ida scendevano di quotazione. Soprattutto, una delle paure dei blaugrana era il poter ricevere un trattamento simile a quello subito a Giovinazzo un anno prima, quando in pista non circolarono certo fiori e carezze.
Le certezze del Barcellona vacillarono ulteriormente al gol di Barsi, che di fatto caricava a molla l’ambiente. Trullols in tre occasioni levò le castagne dal fuoco su altrettante bordate provenienti da lontano del potente Fantozzi, abile gestore della prima fase di gioco. Come sarebbe andata se fosse entrato il 2-0?
I balugrana erano alla 75° partita stagionale e la stanchezza iniziava a sentirsi. L’Amatori c’era, sospinto dai propri ultras. Il caldo, afoso e soffocante, passava quasi in secondo piano. Nessuno, in quel momento, pensava al fatto che la mattina successiva sarebbe stata quella del 1° Agosto: il pensiero delle spiagge di Rimini e Riccione, all’interno del Revellino, non sfiorava nessuno tra i presenti.

I decibel emessi dalla tifoseria giallorossa si udivano benissimo anche oltre Adda, per le vie del Borgo e della Maddalena. Aldo Belli alzava ancor più i toni con le sue punte di velocità, era un pericolo costante per lo stoico Vila-Puig, sapiente regista della retroguardia blaugrana e abile guardiano di Trullols. Gli uomini di Llorente giocavano molto accorti, aiutati anche dalle dimensioni della pista, decisamente ridotte rispetto al parquet del Palau. Ma la favola di una remuntada finisce qui e per il resto parla è storia.

La qualitativa prensa catalana narrerà di un Lodi “Che è stato un grande rivale, per la garra, per la preparazione e per lo sforzo fisico”. Ma non basta, perché il Barcellona, come molto spesso è accaduto nell’ultimo mezzo secolo hockeistico, trova il gol del pareggio e ribalta le sorti. Il bravo Ricardo Torres pone la firma dell’1-4, bissando il punteggio dell’andata, il momento in cui anche l’Amatori cede l’onore delle armi ai catalani, che alzeranno la quinta delle 8 Coppe dei Campioni consecutive. Forse non la più emozionante, certamente quella più caliente.
Questo pezzo è frutto del lavoro e della fantasia di Paolo Virdi: parte dell’articolo è stata volutamente romanzata. Le foto sono del bravissimo Alberto Vanelli. Si ringrazia Giancarlo Fantozzi per la collaborazione.